Un’ondata incontrollata di “clandestini” sta per abbattersi sul nostro paese diffondendosi in ogni suo angolo.

 Da dove provengono? Dall’Italia: dall’Italia legale a quella “clandestina” Quanti sono? Più di centomila nel giro del prossimo anno (che si aggiungeranno a chi arriverà ancora via mare). Ma chi sta organizzando quel viaggio? Il ministro Salvini con il suo decreto sicurezza: chiuderà molti Sprar (i centri di accoglienza gestiti dai Comuni, che curano con progetti personalizzati l’inclusione sociale di coloro che chiedono protezione) per trasferirne gli ospiti nei Cas e nei Cara (centri affidati a privati, che spesso ci speculano sopra), ma chiuderà anche molti Cas, tagliandone i fondi e riducendo drasticamente le protezioni umanitaria,internazionale e sussidiaria che “legalizzano” la permanenza di un profugo in Italia. Una volta persa la protezione, alle persone cacciate da Sprar e Cas verrà ingiunto di ritornare entro sette giorni nel loro paese. Ma nessuno lo farà, perché nessuno di loro ha i mezzi per farlo, perché dal paese di origine sono dovuti fuggire, perché a tornare corrono il rischio di essere imprigionati, torturati, uccisi o fatti sparire. E non lo farà nemmeno il Governo che non ha mezzi e fondi per rimpatriare nemmeno il mezzo milione di “clandestini” di cui, in campagna elettorale, Salvini aveva promesso di sbarazzarsi mentre ora ha dichiarato che ci vorranno almeno ottanta anni per mandarli via tutti. E che sarà allora degli oltre centomila che si andranno ad aggiungere a quel mezzo milione grazie al nuovo decreto? Una piccola parte – qualche migliaio – verrà rinchiuso nei Cpr (centri di permanenza per i rimpatri) ancora da costruire; che si riempiranno presto, ma non si svuoteranno altrettanto rapidamente per far posto a nuovi prigionieri perché quelli che finiscono lì potranno restarvi rinchiusi fino a 180 giorni, per poi uscirne, perché il loro rimpatrio sarà sempre più difficile. Così verranno lasciati per strada, nella condizione di “clandestini” (una figura giuridica introdotta con la legge Bossi-Fini), come già succede a coloro cui è stato negata la protezione o a cui non è stato rinnovato il permesso di soggiorno perché hanno perso il lavoro. Li ritroveremo – ne ritroveremo sempre più – agli angoli delle strade con il cappello in mano a chiedere la carità, a dormire sotto i viadotti o nelle fabbriche abbandonate, nella migliore delle ipotesi. Oppure a lavorare in nero nei campi, nell’edilizia, nei retrobottega di bar e ristoranti. Oppure a prostituirsi, se donne, o a spacciare, se uomini; a fornire carne umana e manodopera a una criminalità, italiana e straniera, che cresce di giorno in giorno sotto i nostri occhi e che è ormai additata come la fonte principale di insicurezza per tutti;dimenticando che le cause maggiori di questa insicurezza sono la corruzione, le mafie e la criminalità organizzata, ben inserite dentro molte strutture dello Stato e delle attività produttive. Pensare di restituire la sicurezza agli italiani rendendo la vita sempre più difficile a che è costretto alla “clandestinità”, senza alcuna alternativa possibile, significa solo moltiplicare le cause dell’insicurezza.

Ma perché Salvini ha voluto un decreto che aumenta l’insicurezza delle nostre vite? Perché più insicurezza c’è più le sue false promesse di eliminarla hanno presa e il suo elettorato aumenta. Perché facendo credere che l’insicurezza si combatte rendendo la vita difficile agli esclusi, sia immigrati che italiani, o mettendo un’arma in mano a chi teme di essere aggredito o derubato, può presentarsi come il nemico di una situazione che lui contribuisce invece ad alimentare e a far crescere. 

Per questo Salvini e il suo Governo combattono in tutti i modi le esperienze – come gli Sprar o i Comuni che accolgono i migranti, prime tra tutti, ma non solo, Riace – che producono inclusione e, insieme all’inclusione, sicurezza e benessere per tutti. Quelle esperienze sono la dimostrazione che i suoi metodi non funzionano e che peggiorano solo la situazione, mentre nei Comuni che accolgono si conquista anche la sicurezza per tutti. A Riace, in una regione dominata dalla n’drangheta, malavita e insicurezza sono state sconfitte, lo spopolamento è stato arrestato e il territorio è rinato a beneficio tanto dei vecchi abitanti che dei nuovi arrivati. Il problema dell’Italia, e non solo di Riace, o degli altri comuni della Calabria e di altre regioni che si sono impegnate nell’accoglienza, non è l’immigrazione ma l’emigrazione: i tanti giovani e non giovani, spesso laureati e diplomati, costretti a emigrare per cercare lavoro all’estero, e che nella rinascita dei borghi come delle periferie, proprio grazie all’arrivo degli immigrati, potrebbero trovare invece una ragione per restare. Una ragione valida per milioni di persone se in tutto il paese venissero intraprese quelle opere di risanamento del territorio e del tessuto sociale imposte dal deterioramento locale e globale dell’ambiente e che potrebbero dare loro una collocazione produttiva, invece di costringerli a una inattività forzata (di cui si parla con disprezzo come “stare sul divano a guardare la TV”): tanto agli italiani che ai tanti i migranti imprigionati nei Cas che non aspettano altro che di potersi impegnare per il bene sia loro che di tutti.

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