Leggendo una dichiarazione di Renzi rispetto al gran consenso di Italia viva nelle suppletive a Roma che hanno eletto Cecilia D’Elia, 18% invece del 2 ricevuto dai sondaggi, e nessun cenno che solo 11% degli aventi diritto è andato a votare, mi viene in mente questo altro ritornello dello Zecchino d’oro: “44 gatti in fila per tre col resto di due”. L’ultimo acquisto di una senatrice 5Stelle lo dota di 45 voti che nella nuova legislatura si potrà sognare.
Da ciò che filtra sui confronti e accordi e scontri e su kingmaker che darebbero le carte, sembra infatti di trovarsi in una scuola d’infanzia. Le queenmaker, rigorosamente fuori dalle istituzioni, fanno invece tante analisi e pochi confronti da cui emerge il timore e l’opportunità di fare nomi. Ma soprattutto la totale estraneità dei movimenti e dei luoghi femministi, in particolare per le più giovani, dai luoghi di potere, tutti maschili, da cui non sono rappresentate. Le elette hanno le bocche rigorosamente cucite, come conviene alle donne quando i loro capi devono decidere che indicazioni dare loro.
Qualcuno spera ancora che rimanga tutto com’è, Mattarella al Quirinale, nonostante la sua correttezza costituzionale che gli ha fatto ripetere continuamente un No chiarissimo, l’ultimo ieri alla riunione del Csm che nonostante le sue sollecitazioni non è ancora stato riformato. Di conseguenza Draghi a palazzo Chigi, così finisce la legislatura e i parlamentari sono contenti, si prendono i soldi del Pnrr dall’Europa e si distribuiscono a chi di dovere.
A fine anno Draghi aveva detto con signorilità che il suo compito era finito al governo e lasciato intendere che non disdegnava il Quirinale.
All’estero gli anglossassoni lo vogliono lì, unico luogo in cui per sette anni si sentono garantiti da un interlocutore europeo da sempre convintamente atlantista, e il Financial Times lo ribadisce oggi dopo che il New York Times lo aveva già scritto nei giorni scorsi. Non hanno dimenticato l’apertura alla via della seta dei grillini e la ricerca di appoggi da Putin della Lega nel recente passato. Gli scontri alla frontiera dell’Ucraina e le pressioni anche a quelle bielorussa e georgiana preoccupano la Nato e Biden vuole mandare truppe mentre noi europei siamo ulteriormente preoccupati per i rifornimenti di gas e petrolio russi, da cui l’Europa dipende al 61% mentre vorrebbe affrancarsi con il green ma non è chiaro come e quando.
Intanto proprio Draghi che con il FMI aveva mandato la Grecia in fallimento quando la politica era quella del rigore si trova oggi costretto a aumentare a dismisura stanziamenti fuori bilancio per ristori, aiuti e assegni vari, compensazioni per contenere gli aumenti vertiginosi dei prezzi dell’energia, riduzione o slittamento tasse, prolungamento di cassa integrazione e anche risarcimenti dei danni da vaccino. L’ipotesi di pretendere un po’ dei superprofitti di chi in questa fase di pandemia se la ride, pare caduta appena proposta. Ridurre un po’ i cosiddetti oneri di sistema nelle bollette che pare contengano ancora i costi per la guerra in Abissinia non risolverà. Proviamo a scommettere chi pagherà alla fine?
Suggerisco di leggere l’ultimo libro di Nadia Urbinati “Pochi contro molti, il conflitto del XXI secolo” di cui cito solo il titoli di alcuni significativi capitoli, il primo si chiama movimenti e altri il potere deve circolare, l’ambizione democratica e il buon conflitto, apatia politica e sana diffidenza. Se Ida Dominijanni ci mette in guardia sul fatto che il “puttaniere” come lo chiama lei potrebbe essere il primo a fare nome e cognome di una Presidente, i Viola resuscitati ci invitano domenica in piazza contro Berlusconi quando lui è già stato fatto fuori dai suoi come ho scritto nel mio post del 18 gennaio. Ma perché i girotondi e i vaffa day, ma anche le primavere arabe, Occupy Wall Street e indignados o i gilet gialli sono morti?