Non lasciamo soli i curdi siriani. Solo così la Rosa del Rojava potrà fiorire

di Domenico Chirico

da L’Uffington Post, 09. 02. 2015

Attraversando con una barca il fiume Tigri siamo arrivati dall’Iraq in Siria, nella regione del Rojava, la zona autonoma a maggioranza curda del nord del paese. Una missione molto complessa passando dal fronte iracheno a quello siriano, per portare aiuti ai 2 milioni di persone che vivono sotto assedio in questo pezzo di Siria.

Da tempo operiamo a favore dei rifugiati siriani in Iraq, Giordania e Libano ma il vero dramma è interno alla Siria, con una generazione perduta di bambini che non vanno a scuola, hanno perso le loro case e tante famiglie distrutte o lacerate da 4 anni di interminabile conflitto. Ad oggi secondo l’Onu sono 12 milioni le persone in stato di necessità in Siria, di cui 7,6 milioni sono sfollati. E poi ci sono 3.8 milioni di rifugiati siriani nei paesi limitrofi, di cui molti guardano all’Europa per ricostruirsi un’esistenza. Solo nel 2014 sono arrivati in Europa più di 134.000 siriani.

Questo popolo sta soffrendo un supplizio lunghissimo e c’è ormai chi scherza amaramente tra i siriani dicendo che la guerra finirà quando il paese sarà del tutto svuotato. Per questo è necessario rientrare in Siria, per portare aiuti e sostenere ogni sforzo di pace e convivenza.

Dopo il confine iracheno la prima città siriana che si incontra è Derik/Al-Malikiyah. Qui sono arrivati migliaia di sfollati da altre parti della Siria e lo scorso agosto anche tantissimi yazidi fuggiti dalle montagne irachene a seguito delle persecuzione dello Stato Islamico (IS).

Il campo profughi di Newroz a Derik ospita almeno 7.000 persone con pochissimi servizi e senza una scuola o uno spazio dedicato per i bimbi. Ad oggi è impossibile portare aiuti regolarmente in Siria. L’Onu è poco presente nelle aree, come questa, non controllate dal regime di Damasco. Nella città di Derik, come in tutto il Rojava, ci sono anche la chiesa caldea, quella armena e quella siriaca, si convive pacificamente, nonostante la guerra. Si vive in estrema povertà, con 80 dollari al mese, quando va bene. La regione del Rojava è assediata da un lungo fronte contro l’IS e ha alle spalle la Turchia che, per paura dell’autonomismo curdo, tiene le frontiere chiuse mettendo l’intera area di fatto sotto embargo. L’unico varco aperto è quello con l’Iraq, dove c’è un’altra guerra in corso.

In Rojava mancano le medicine e tanti beni di prima necessità, gli ospedali sono al collasso con i macchinari senza pezzi di ricambio e con i medici fuggiti. Le scuole cadono a pezzi ma continuano a essere aperte se non sono state distrutte dalle bombe di IS. E oltre all’aiuto materiale i responsabili dell’educazione ci hanno chiesto di aiutarli a formare i loro docenti e assistenti sociali sulla gestione dei traumi dei bambini a partire dalle scuole. Hanno infatti la lungimiranza di capire che il trauma violento di questa guerra va lenito e affrontato, per dare un futuro alle nuove generazioni.

La Mezza Luna Rossa curda ha intanto aperto 9 cliniche in tutto il Rojava, distribuisce medicine gratis ai più poveri e offre cure gratuite a tutti. La maggior parte del lavoro si basa sul volontariato. Due operatori sono stati uccisi in un agguato di IS, mentre andavano a soccorrere dei feriti. Freddati mentre correvano in ambulanza. E per questo ora non possono rispondere alle chiamate di emergenza. Il rischio è finire in una trappola di IS. Hanno però enorme coraggio e percorrono tutto il paese in soccorso delle vittime del conflitto e con loro organizzeremo molto presto i primi convogli umanitari.

Il Rojava è la regione diventata nota per la battaglia di Kobane. Ma è da 4 anni che quest’area si è resa semi-autonoma dal regime di Damasco ed è governata da una coalizione di partiti locali che comprende forze curde, arabe, cristiane, yazide. Sono nati giornali, radio, media indipendenti e le istituzioni autonome hanno abolito il matrimonio precoce e la poligamia che ora è punita con l’arresto.

La violenza domestica è perseguita dalla legge ed è stata creata una rete di sostegno alle donne che la subiscono. Ogni carica pubblica è ricoperta da una donna e un uomo. A marzo ci saranno le elezioni municipali, a cui i circa 50 partiti presenti potranno partecipare. A settembre potrebbero svolgersi le presidenziali.

A livello politico la situazione non è semplice perché buona parte della popolazione è mobilitata per difendersi dallo Stato Islamico, la cui capitale, Raqqa, dista poche decine di chilometri dall’ultimo avamposto dell’YPG/YPJ, l’esercito del Rojava. Esercito in parte composto da donne, molte giovanissime. Esercito non riconosciuto al di fuori del Rojava ma che ha aderito alle Convenzioni di Ginevra per la protezione dei civili in guerra e per porre delle regole base anche a questo sanguinoso conflitto.

Buona parte del popolo del Rojava si è auto-organizzato per difendersi e proteggersi. Avviando la costruzione di istituzioni laiche e gettando semi di convivenza civile. Non sappiamo come andrà avanti questa esperienza. Sappiamo però che queste persone, come tanti altri siriani, non vanno abbandonati al loro destino.

Va sostenuta la loro battaglia per esistere e darsi un futuro di pace. Alcune donne curde ci hanno raccontato il Rojava come una rosa che stanno coltivando, e come ogni rosa le spine servono a proteggerla. Ma non sono assolutamente felici di vivere in una guerra e un assedio permanente, né di vedere le loro figlie e i loro figli morire per combattere il terrore cieco di IS. E per non lasciarli soli, con loro, costruiremo un nuovo ponte.

Direttore Un Ponte Per…
Domenico Chirico

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