La sinistra sarà ecologista o sparirà

Una delle ragioni principali dello scoramento della sinistra è che non ha completato la sua trasformazione ideologica. Pur avendo integrato l’esigenza ecologica, non ne ha ancora tratto le conseguenze: dire alle classi medie che vanno ridotti i consumi materiali e che bisogna andare verso una società di partecipazione.

di Hervé Kempf, Reporterre – 4 gennaio 2022

All’alba di un anno che impegnerà la Francia per cinque anni, sarebbe facile deplorare lo smembramento della sinistra, la debole capacità dell’ecologia di imporsi nel dibattito politico, il carattere apparentemente inesorabile delle politiche autoritarie o di estrema destra. Ci si potrebbe accontentare di spiegare questa situazione con il martellamento mediatico orchestrato dai media massicciamente controllati dagli ultraricchi; e ricordare che il tradimento degli interessi popolari da parte dei socialdemocratici ha contribuito a disgustare lavoratori, dipendenti e disoccupati dell’intera “sinistra”.

Ma queste osservazioni condivise – il che non significa che siano false – tralasciano una delle ragioni principali dell’impotenza della sinistra: non ha ancora completato il lavoro di integrazione della questione ecologica nella sua analisi, nel suo programma, nella sua cultura.
Quella che viene chiamata “la sinistra” si è formata all’inizio del XIX secolo abbracciando gli ideali della Rivoluzione francese e poi integrando in essi la richiesta di un destino meno miserabile per i lavoratori. Divenne espressione della classe operaia e trovò la sua identità politica nella rivendicazione della giustizia sociale.

Sinistra e produzione materiale

Lungo la strada, la sinistra si è appropriata dell’idea che l’aumento complessivo della produzione materiale fosse un progresso. In fondo non restava che dirimere la questione della distribuzione della ricchezza. Ma in materia di produttivismo, il capitalismo ha superato di gran lunga il suo sfidante comunista, che è crollato nel 1991.
Il capitalismo, senza modificare i rapporti di proprietà, era riuscito a far emergere una grande classe media, che trovava nel benessere materiale una ragione sufficiente per sostenere o addirittura appoggiare l’oligarchia.

A partire dagli anni ’80, la disuguaglianza ha ripreso a crescere in modo deciso, pur senza abbassare significativamente il tenore di vita delle classi medie. E i partiti socialdemocratici, che avevano preso il sopravvento sui partiti comunisti screditati dal loro sostegno all’URSS, si allinearono al capitalismo. Essi si concentrarono sulla conquista della borghesia abbandonando la massa ancora considerevole della “piccola gente”.
Ma un movimento di idee ha iniziato a creare problemi. Si basava sull’osservazione scientifica che il continuo aumento della produzione materiale – quella che viene chiamata crescita – mette in pericolo le condizioni di equilibrio della biosfera e minaccia la possibilità del benessere dell’umanità. Inizialmente emarginato, questo flusso di idee, l’ambientalismo, ha imposto la realtà del pericolo e ha iniziato a influenzare la scena politica. Ma se i pensatori degli anni ’70 – Barry Commoner, André Gorz, Murray Bookchin, Ivan Illich – hanno articolato la critica del produttivismo con l’analisi dei rapporti di potere sociale, è stato solo all’inizio degli anni 2000 che è diventato chiaro che ridurre le disuguaglianze è cruciale per risolvere la questione ecologica.
È da questa osservazione che nasce Reporterre nel 2007, per spiegare giorno per giorno come i ricchi stanno distruggendo il pianeta. Non l’umanità, i ricchi. La sinistra ha iniziato a integrare l’ecologia nel suo corpo dottrinale. Ma l’ha fatto davvero? Ecco lo iato. 

L’ecologia è una questione di ripartizione delle risorse

Ricordiamo perché l’ecologia è una posta in gioco nella distribuzione delle risorse. In una società molto diseguale come quella odierna, c’è uno spreco enorme, perché lo sperpero materiale dell’oligarchia è un esempio per tutta la società.
Ognuno al proprio livello, nel limite del proprio reddito, cerca di acquisire i beni e i simboli più valorizzanti. Media, pubblicità, film, soap opera, riviste diffondono il modello culturale dei dominanti. In che modo allora l’oligarchia blocca le azioni necessarie per prevenire l’aggravarsi della crisi ecologica? Direttamente, ovviamente, attraverso le potenti leve – politiche, economiche e mediatiche – che controlla e che usa per mantenere i suoi privilegi. Ma anche indirettamente attraverso il suo modello di consumo che permea tutta la società e definisce la normalità. Quindi ci ritroviamo con livelli record di emissioni di gas serra, distruzione della biodiversità e inquinamento degli ecosistemi.
Per risolvere la crisi ecologica, però, è fondamentale fermare lo sperpero di risorse: si tratta di ridurre il consumo materiale a un livello compatibile con l’equilibrio della biosfera. Ma chi dovrebbe ridurre i propri consumi? Non i poveri e i modesti salariati già ridotti a una porzione sempre più piccola. Gli iper-ricchi devono ridurre drasticamente il loro consumo. Ma anche se li priviamo di enormi SUV, orologi appariscenti, shopping a Saint-Tropez e aerei privati, non ce ne sono abbastanza per ridurre la pressione ecologica globale quanto necessario. La riduzione del consumo materiale deve essere proposta a tutte le classi medie occidentali.

La classe media dovrà dimezzare le proprie emissioni entro dieci anni

Questa osservazione è ben illustrata dal lavoro del World Inequality Lab sulle disuguaglianze globali nelle emissioni di gas serra. Nel loro rapporto del 2022, i ricercatori hanno esaminato il caso di vari paesi, tra cui la Francia. Analizzano le conseguenze della riduzione delle emissioni di gas serra per rispettare l’accordo di Parigi, che mira a prevenire il riscaldamento di oltre 2°C, in uno spirito di uguaglianza. Si vede che il 10% più ricco, che emette 24 tonnellate di CO2 all’anno, dovrà ridurre le emissioni di 19 tonnellate. Ma le classi medie – ovvero il 40% più ricco delle persone al di sotto del 10% più abbiente – non sono escluse: emettono in media 9 tonnellate e dovranno dimezzare le proprie emissioni!
Ci si può rifiutare di vedere i numeri: è ciò che stanno facendo le destre rigettando l’obiettivo dell’uguaglianza e sostenendo che basteranno le tecnologie per ridurre le emissioni di gas serra. Questa affermazione è inaccettabile data l’evoluzione in corso da diversi decenni: nei paesi sviluppati, le emissioni diminuiscono solo lentamente. 25% in trent’anni nell’Unione Europea, per esempio. Se vogliamo davvero evitare un riscaldamento insopportabile, dobbiamo cambiare drasticamente la situazione. Per la sinistra ciò equivale a ribaltare il suo paradigma nei confronti delle classi medie: non promettere loro più beni, ma una vita rinnovata dai legami sociali e dall’autonomia attraverso la decrescita materiale globale.
Questa è la lezione principale che impariamo dalla pandemia di covid: non solo il capitalismo ne ha creato le condizioni, attraverso la distruzione della biodiversità, l’esplosione degli allevamenti intensivi, il frenetico libero scambio; ma per affrontarlo in modo sostenibile serve una politica sanitaria che mantenga una buona rete sanitaria puntando sulla prevenzione delle malattie ambientali, a cominciare dall’obesità. Niente è più significativo del fatto che i leader di oggi ignorano questa lezione e si affidano solo alla tecnologia – i vaccini – e all’autoritarismo.
Salute, educazione, cura degli anziani, gusto per la festa e la convivialità, autonomia agricola e moderazione alimentare, risparmio ed efficienza energetica, urbanistica che limiti gli spostamenti, ripristino della natura: tanti cantieri che migliorano la vita e che sono gli assi di una politica di sinistra che pone l’autonomia, quindi l’emancipazione, al centro del suo programma. Come ha riassunto Ivan Illich, “l’unica soluzione alla crisi ecologica è che le persone si rendano conto che sarebbero più felici se potessero lavorare insieme e prendersi cura l’uno dell’altro”.

Possiamo così vedere i compiti che attendono la sinistra: assumere la radicalità della catastrofe ecologica, e quindi la radicalità della politica necessaria; riaprire un orizzonte di speranza per le classi popolari; riportare le classi medie a una visione liberatrice che implica la rottura con l’oligarchia e il suo mondo di reclusione.
Sicuramente questo non sarà possibile nei prossimi mesi. Ma questi devono essere, almeno, un momento di chiarificazione.

PS: L’autore del testo, Hervé Kempf, è il capofila dell’ecosocialismo francese. Giornalista e scrittore di libri di ecologia sociale di rilievo, è stato tra l’altro redattore specialista dei problemi ambientali del quotidiano Le Monde dal 1998 al 2013. Nel 2007 partecipa alla creazione del sito Reporterre, il quotidiano online degli ecosocialisti francesi di cui è ancora tutt’oggi il Direttore Responsabile. Nel 2009 Hervé Kempf si era autodefinito «objecteur de croissance », obiettore di crescita.

 “Reporterre, le quotidien de l’écologie”www.reporterre.net

3 Commenti
  1. Simonetta Astigiano dice

    Ci mancano politici illuminati per realizzare questo sogno, e forse ci mancano anche persone consapevoli e disponibili a mettersi in gioco

  2. PIERO MUO dice

    Come mai delle evidenze così esplicite raccolgono tanto poco consenso?

    1. Simonetta Astigiano dice

      Sarebbe interessante saperlo, forse perchè agli amministratori non conviene o semplicemente perchè sono scelte difficili da fare

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