La Democrazia del futuro
Donald Trump negli Stati Uniti e forze populiste in Europa, l’esito del referendum sulla Brexit, il successo del M5S in importanti comuni italiani stanno portando molti illustri opinion leader a interrogarsi sulla democrazia.
Non per provare a migliorarla ma per capire se non sia piuttosto il caso di limitarla e restringerla.
La stessa riduzione dei Senatori eletti direttamente dai cittadini, proposta dall’attuale Governo con la “deforma costituzionale”, riduce la rappresentanza, per non dire della legge elettorale che limita la libertà di voto dei cittadini alla semplice condiscendenza a liste preconfezionate dai partiti.
La Brexit e il generale e continuo degrado della democrazia rappresentativa è una delle questioni su cui si è aperto un dibattito: è giusto far votare tutti, compresi coloro che ignorano o non capiscono il motivo del contendere?
Come ha spiegato lucidamente Luciano Canfora in un’intervista a Linkiesta, si tratta di una vecchia “tentazione liberale”: togliere il voto alla gente, argomentando che quest’ultima non sarebbe mediamente in grado di comprendere temi complessi.
Una tesi che, oggi, potrebbe del resto avvalersi anche delle ormai tristemente celebri statistiche sull’analfabetismo funzionale, un male di cui il nostro Paese è gravemente affetto.
L’OCSE afferma che tre italiani su dieci sono “analfabeti funzionali”, cioè pur essendo in grado di leggere e scrivere non comprendono il senso di un articolo pubblicato su un quotidiano, non capiscono i termini di una polizza assicurativa, non sono capaci di riassumere e di appassionarsi ad un testo scritto, non sono in grado di interpretare un grafico o di leggere un bilancio semplice.
“Tuttavia” -spiega Canfora- “si tratta di un ragionamento pericoloso, perché il cerchio degli aventi diritto rischierebbe di restringersi sempre di più.”
“Come stabilire chi sia in grado di votare? Io stesso, per esempio,”continua Canfora”sull’economia politica non sono un esperto. Leggo e mi documento, certo. Ma tra me e Draghi, per fare un esempio, l’unico che avrebbe diritto di voto sarebbe lui”
E, soprattutto:
“Qualunque votazione che abbia in oggetto la cosa pubblica possiede implicazioni tali da richiedere sempre, e in ogni caso, un ragionamento simile. Non vale e non può valere solo per il referendum sull’uscita dall’Unione Europea. Se il criterio è la competenza dell’elettore, allora per ogni votazione, anche per le elezioni politiche, europee, cittadine, di quartiere ci vorrebbero mesi di studio sui programmi dei candidati e seminari interi per comprendere le tematiche che affrontano, che sono sempre complesse e non alla portata di tutti.”
Un argomento che nell’intervista non viene affrontato e che tuttavia è centrale in questo discorso è quello dei limiti della democrazia rappresentativa.
Questa è infatti la soluzione che fino ad oggi è stata trovata per risolvere il problema citato da Canfora: la complessità degli argomenti e l’impossibilità dei cittadini di essere tuttologi.
Questa soluzione ha manifestato – non una, ma diverse volte nella storia – una serie di limiti notevoli e noi italiani, da questo punto di vista, rappresentiamo un caso negativamente esemplare.
Se oggi affermassimo che i rappresentanti dei cittadini italiani nelle varie Istituzioni democratiche costituiscono il meglio della società in quanto a preparazione e competenza, un ipotetico interlocutore reagirebbe con sarcasmo e citerebbe probabilmente un Razzi o uno Scilipoti e chissa quanti altri visto il grado di cultura che alcuni dimostrano nelle interviste volanti.
Si potrebbe obiettare che esistono anche persone competenti e preparate, ma la replica consisterebbe nel far notare che costoro dovrebbero essere la regola, non l’eccezione.
E’ poi chilometrica la lista dei problemi che affliggono in special modo la democrazia italiana; il voto di scambio che da decenni è regola fissa in troppe regioni italiane; la corruttibilità dei singoli eletti e dei partiti in cui militano; il fatto che molti di loro “cambino idea” dopo essere entrati nelle Istituzioni, non sempre ovviamente per dei sinceri ripensamenti ma, molto più spesso, per mero opportunismo; l’influenza delle lobby e dei cosiddetti “poteri forti” nei confronti dei partiti o dei singoli rappresentanti, conflitto d’interessi e qualche altra amenità che sarebbe troppo lungo enumerare.
Questi e altri mali hanno rappresentato dei formidabili argomenti per quei movimenti, definiti indifferentemente populisti, che sia di destra che di sinistra hanno visto crescere il loro consenso in questi anni di crisi.
Non c’è bisogno di essere storici del calibro di Canfora per osservare che si tratta di una situazione estremamente simile a quella venutasi a creare negli anni ’30 del secolo scorso, quando la crisi economica e le difficoltà post-belliche portarono all’ascesa dei vari fascismi.
Lo storytelling di questi movimenti è sempre lo stesso: la democrazia rappresentativa non funziona perché i “politicanti” sono al servizio dei poteri forti, oggi le banche, ieri gli ebrei e a governare è soltanto l’alta borghesia, quindi la soluzione è consegnare poteri assoluti a qualcuno che “viene dal popolo”, che abbia con esso un rapporto diretto e che solo ad esso risponda: l’uomo solo al comando.
La tesi sostenuta per promuovere la nuova legge elettorale seppur mascherata da pseudo “esigenze di governabilità” rientra in questa logica.
Spesso sono questi movimenti ad appellarsi alla democrazia diretta, nella convinzione che se al popolo fosse data facoltà di decidere direttamente, senza intermediari, le cose andrebbero assai diversamente.
Come vanno a finire di solito queste dinamiche lo sappiamo tutti.
Apparentemente, quindi, la scelta è tra questi due sistemi gravati ognuno da grossi limiti.
Come sempre il difficile è non radicalizzare, difficile è prendere il meglio e scartare il peggio.
Esiste una terza via, quella che negli ultimi anni si sta facendo strada e che alcuni gruppi e piccoli partiti stanno sperimentando: la democrazia liquida.
Il principio su cui si basa è molto semplice: ciascuno può proporre, accettare o meno emendamenti alle proprie proposte, valutare tutte le proposte e scegliere sempre se esercitare direttamente il proprio voto o delegarlo a chi ritiene più esperto o di fiducia.
Le deleghe e il voto, tuttavia, possono essere modificate o ritirate in qualsiasi momento, termine ultimo la chiusura delle votazioni.
Non vi è una situazione in cui l’elettore incarica qualcuno di rappresentarlo per un periodo di tempo non direttamente modificabile, una cambiale in bianco per un tempo deciso da altri, ma quella cioè in cui si possa esercitare il voto direttamente o scegliersi i rappresentanti.
C’è, quindi, la possibilità di affidarsi alla competenza di qualcuno valutandone l’idea e l’affidabilità e che, teoricamente, potrebbe essere anche il nostro vicino di casa, ipotizzando ad esempio un’applicazione di questa prassi in un piccolo Comune.
Le scelte sono quindi influenzate più dai contenuti che dalle persone, nullo, o quasi, il carisma personale così come la situazione contingente, ha maggior rilievo la coerenza sia delle persone che dei contenuti da queste portati piuttosto che altre influenze sociali e personali.
Un regime di questo tipo necessita di un mezzo informatico, in grado di gestire in automatico la “liquidità” stessa del sistema e darebbe modo all’intelligenza collettiva di emergere e fornire le soluzioni più accettabili dalla maggioranza della popolazione, senza creare leader che prima o poi, essendo umani e fallibili, tradirebbero il “bene comune”.
Negli ultimi mesi, in Italia, diversi movimenti politici, nuovi o sedicenti tali, hanno cercato di dotarsi di una qualche piattaforma decisionale online; si va dal famoso Rousseau del M5S a COMMO, della sinistra anti-PD, passando per Sinapsi, la creatura di Alternativa Libera ma il punto non è dotarsi di una qualche piattaforma per fare genericamente interagire gli elettori con gli eletti, per quello esistono decine di strumenti web “tradizionali”, dai forum alle mailing list, ai social network per non parlare del fatto che esiste un mondo fisico, al di fuori del web, che era e rimarrà sempre il modo migliore per comunicare.
Si tratta, invece, di utilizzare la rete per distribuire il potere decisionale.
La questione fondamentale, quindi, è chi può proporre e votare cosa.
Se i proponenti sono comunque “i vertici”, e la base può solo votare sì o no, allora avremo partiti tradizionali che cercano di ammodernare la propria immagine con una spruzzatina di informatica.
Se invece chiunque, in un partito piuttosto che in Comune, può fare proposte e chiunque può sostenerle, emendarle e votarle, allora avremo la democrazia del futuro.
Attualmente c’è solo una piattaforma che permette con la massima trasparenza di soddisfare i requisiti per la democrazia del futuro: Liquid Feedback, è un software libero e open source.