InTERNET UnGOVERNANCE FORUM

 

 

Chi intende opporsi all’attuale deriva neoliberista della nostra società non può ignorare come la tecnologia venga sfruttata e strumentalizzata dal sistema.

Ai Movimenti che si oppongono alle trivellazioni, all’inquinamento ambientale e in genere al degrado del pianeta sul quale viviamo si dovrebbe suggerire che le negativitità a cui ci opponiamo non è la tecnologia in sé ma il suo errato utilizzo a fini speculativi piuttosto che sociali, al fine di creare reddito piuttosto che per il bene collettivo.

A questo proposito va inquadrato l’allarme lanciato per Internet, bene comune e strumento che se utilizzato a fini sociali potrebbe costituire un enorme sviluppo verso una società più solidale, giusta e trasparente piuttosto che una società individualista, basata solo sulla finanza capitalista e pervasiva della privacy.

RELAZIONE di di Giulio De Petra (Il Secolo della Rete) all’IUF 2015

IUF Italia 2015 è importante per una ragione di metodo, perchè porta fuori dai palazzi istituzionali la discussione sul governo di Internet e la fa vivere nei luoghi dove operano quelli che Internet provano ad usarla tutti i giorni come strumento di cooperazione sociale e di produzione culturale libera.
La storia dell’Internet Governance Forum, e di quello italiano in particolare, è infatti segnata pesantemente da una grande separazione tra l’ampiezza dell’impatto dei temi trattati e la effettiva rappresentatività sociale di chi li ha discussi.
Gli effetti della governence di Internet riguardano miliardi di persone, ma della governance se ne occupano poche centinaia, che al massimo ne rappresentano qualche migliaio.

Portare allora la discussione fuori dai palazzi istituzionali non serve soltanto a coinvolgere attori nuovi e più rappresentativi, ma anche a cercare di estendere il più possibile la consapevolezza che il governo di Internet riguarda tutti quelli che la usano.
Ma IUF Italia è importante soprattutto per le questioni di merito, per i temi che vuole discutere, dal controllo sociale alla censura dell’informazione, dalla possibilità di accedere e riusare liberamente la conoscenza, alle forme che deve assumere il governo della rete.
Oggi questa discussione non è più la stessa di dieci anni fa, quando è iniziato il percorso dell’internet governance forum mondiale, perchè la rete, l’ampiezza e, soprattutto, le finalità del suo utilizzo sono profondamente cambiate.
C’è una discontinuità da cui partire nella nostra discussione, una cesura profonda che carica di nuove e diverse responsabilità la nostra discussione.
Viviamo, in occidente e non solo, in un mondo iperconnesso. Milioni e milioni di cazzate intasano ogni ora le reti esistenti e reclamano a gran voce una banda sempre più larga. Postare sempre più selfie sembra diventata l’unica prova della propria esistenza in vita.
Pensavamo che grazie alla disponibiità della rete si sarebbero presentati e affermati nuovi modelli di società. La realtà è andata nella direzione opposta.
Invece di promuovere più cooperazione sociale la rete si è affermata come la principale risorsa di una competizione senza esclusione di colpi, come il dispositivo abilitante per l’individualismo e il narcisismo più spudorato.
Pensavamo che la rete avrebbe consentito una più larga partecipazione democratica alla vita delle amministrazioni e della politica. Al contrario si è estesa la potenza e l’efficacia della comunicazione politica unidirezionale, l’uso compulsivo di twitter, la sentiment analysis come parodia della democrazia deliberativa, l’appropriazione da parte degli amministratori della competenza civica diffusa senza alcuna cessione di potere.
Pensavamo che sarebbe stata possibile la libera riusabilità della conoscenza disponibile in rete. Invece regolamenti repressivi e nuove forme di diritti di accesso, trasferiscono nel contesto digitale, in forme spesso grottesche, le vecchie leggi del copyright.
Pensavamo che la ricchezza delle relazioni sociali avrebbe trovato nella rete un nuovo strumento per la sua espressione. Al contrario le grandi piattaforme sociali sono lo strumento di forme inedite ed estremamente redditizie di sfruttamento economico delle emozioni, degli affetti e delle preferenze individuali.
Allʼutilizzo della rete per organizzare la lotta politica anche nei contesti politici più repressivi si sovrappone la possibilità di un controllo sociale senza precedenti, che usa la profilazione delle opinioni e dei comportamenti individuali come strumento principale dell’esercizio del potere.
Eppure, pur consapevoli che le cose sono andate in direzione opposta a quella che avevamo immaginato mille esperienze di cui siamo attori e spettatori ancora non ci fanno rinunciare all’idea che ci sarebbe un altro modo di usare l’enorme potenza del digitale.
Sappiamo che in un altro contesto culturale, economico e politico, radicalmente diverso da quello in cui ci è toccato vivere, queste tecnologie potrebbero dispiegare pienamente le loro potenzialità positive.
Da qualche parte conserviamo anche l’ingenua convinzione che proprio la loro disponibilità potrebbe rendere un po’ meno impossibile questo “mondo altro”.
Ma come conservare questa speranza e renderla operante?
Come non separarla da una critica necessaria e sempre più rigorosa della retorica digitale imperante, che tracima da ogni palco di convegno e si attrezza per una disciplinata alfabetizzazione digitale di massa?
Come rendere esplicito il conflitto possibile tra due modi diversi di utilizzare la tecnologia digitale o, come alcuni forse più giustamente dicono, tra due modi diversi di costruirla?
E che cosa dunque, nel governo della rete, può aiutarci ad organizzare questo conflitto ed a far prevalere il nostro punto di vista?
E dalla risposta che sapremo dare a queste domande che dipenderà non solo l’utilità del nostro incontro, ma soprattutto i suoi sviluppi futuri, la capacità che avremo di stravolgere, con la nostra iniziativa, la ritualità inconcludente dei futuri internet governance forum, la capacità anche di denunciare il ruolo delle pratiche “multistakeholder” che sempre di più appaiono come metodi per occultare i conflitti possibili, per negarne la necessità, per provare a comporre punti di vista che non sono più componibili.

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