Guido Viale

Parlerò di profughi, in questo facilitato dal fatto che Anna Maria Rivera, con cui concordo pienamente, ha già detto diverse delle cose che avrei detto io, per cui non le ripeterò. Parlerò della valenza che ha oggi la questione dei profughi per l’Europa e per tutti noi; ma prima, anche perché sono membro di un’associazione che si chiama Prima le persone, voglio dire con forza che c’è una questione prepolitica che riguarda i profughi e che attiene alla dignità umana; che negando ai profughi la dignità che spetta agli esseri umani la neghiamo anche a noi stessi, o, come ha scritto il premio nobel Elfriede Jellinek, trattando i profughi come feccia diventiamo feccia noi stessi. Questo è un principio inderogabile per qualsiasi altra considerazione: un discrimine tra chi la pensa come noi e chi no. Da molti degli interventi che mi hanno preceduto appare evidente che oggi la questione dei profughi è al centro del conflitto politico e sociale in Europa e le conclusioni che verranno tratte da questo incontro dovranno prenderne atto. È al centro del conflitto per tre ragioni:

Primo: la contrapposizione tra chi vuole respingerli e chi vuole accoglierli attraversa tutta l’Europa e divide partiti, forze politiche, ma anche le classi sociali, lungo confini che non son quelli tradizionali. Siamo alla vigilia di una ricomposizione degli schieramenti politici e sociali radicale, che apre degli spazi immensi all’iniziativa di chi saprà cogliere il senso di questa spaccatura. Facendo leva su una politica incondizionata di respingimento, le destre estreme e anche fasciste avanzano in tutta Europa. In alcuni paesi sono già al governo. In altri ci andranno tra breve. Nella maggioranza dei casi condizionano le politiche dei governi centristi o di centro sinistra, che ne adottano le misure anche più estreme nel tentativo – vano – di non farsi portare via una parte consistente dell’elettorato. L’accordo con la Turchia, le barriere al Brennero, Ventimglia, Idumeni, Calais ne sono una prova. Ma ricordiamoci che fare dell’Europa una fortezza verso l’esterno, si riesca o no a realizzarla, finisce inevitabilmente per trasformarla in una caserma e in una prigione verso l’interno: cioè nei nostri confronti. Le recenti misure adottate in Francia in tema di lavoro, che riflettono quelle già attuate in Italia, ma soprattutto le svolte costituzionali promosse in Francia e in Italia sono funzionali a questa trasformazione. Di fronte a questa offensiva il fronte dell’accoglienza è oggi sicuramente minoritario sulla scena politica. Per questo dobbiamo impegnarci a promuovere una politica di resistenza, cercando soprattutto di individuare le gambe su cui questa politica può camminare. Quelle gambe ci sono: sono le decine di migliaia di volontari, di organizzazioni, e soprattutto di giovani – quelli che mancano quasi sempre nelle nostre riunioni – impegnate in attività di assistenza a chi sta cercando di raggiungere il suolo europeo o vi è già arrivato senza trovare niente di ciò che andava cercando. Sono un’avanguardia, attiva e numerosa, ma in gran parte senza voce, di uno schieramento potenzialmente immenso, soprattutto se saremo in grado di mettere pubblicamente in chiaro qual è la posta di questa contrapposizione. Promuovere una convergenza delle lotte significa innanzitutto far capire a tutti che se si esce sconfitti su questo terreno, si perde irrevocabilmente che su tutti gli altri.

Secondo: la questione dei profughi sta dissolvendo l’Unione europea. Se le politiche di austerità, anche nelle forme estreme assunte con l’attacco alla Grecia, avevano tenuto unito e in molti casi rafforzato il fronte dei governi europei, l’atteggiamento verso i profughi li divide in modo irrevocabile: ciascuno cerca di scaricare sui vicini il peso di un flusso che ritiene insostenibile. Ma quali siano i terminali europei di questo scaricabarile è chiaro: Grecia e Italia; gli unici paesi membri che con i loro 18mila chilometri di costa non hanno la possibilità di elevare muri e barriere fisiche (e amministrative) contro chi cerca rifugio in Europa. Coloro che vedono nel recupero di una sovranità a livello nazionale la strada di una emancipazione dai vincoli imposti dalla governance europea non tengono probabilmente conto di questo dato. La lotta per l’accoglienza è un conflitto di livello europeo, per un’Europa diversa, da progettare e costruire insieme a quei milioni di profughi che cercano e cercheranno una via di salvezza in Europa, a quei milioni di migranti che sono già qui da tempo, e a tutte quelle comunità dell’Africa e del Medioriente che quei profughi hanno lasciato e a cui molti di loro vorrebbero far ritorno. È una lotta che si vince o si perde insieme. Condotta a livello nazionale è già persa in partenza.

Terzo: coloro che cercano una via di scampo in Europa stanno rivendicando il più elementare dei diritti umani: il diritto di vivere. Gli Stati che cercano in ogni modo di respingerli stanno negandoglielo. Questo è e sarà sempre più il principale conflitto con cui ci dovremo confrontare nei prossimi decenni (chi di noi ci sarà). Oggi cercano di negarlo con la distinzione tra profughi di guerra, da accogliere perché lo impongono convenzioni internazionali sempre più disattese, e migranti economici, da respingere, perché non hanno diritto a una protezione internazionale, non sono in pericolo, provengono da Stati “sicuri”. Niente di più falso. Provengono tutti da paesi attraversati da guerre e dittature, per lo più generate da crisi ambientali provocate dallo sfruttamento sfrenato delle loro risorse da parte delle multinazionali occidentali o cinesi, o da cambiamenti climatici già pesantemente in corso, o dove l’ambiente è stato completamente devastato dalla guerra. Sono tutti profughi ambientali: una figura non prevista dalle convenzioni internazionali, ma destinata a dominare il nostro futuro. L’Europa ha le risorse per accoglierli e per dar loro un futuro, sia tra di noi che nei loro paesi di provenienza, quando e se torneranno a essere vivibili. A condizione di cambiare completamente politica, abbandonando per sempre l’austerità, la subalternità alla finanza, la schiavitù del debito al suo interno e la complicità con gli attori delle guerre in corso, quando non addirittura il suo impegno diretto in esse, ai suoi confini. Finendo una volta per sempre i vendere loro armi direttamente attraverso le più infami triangolazioni. L’Europa ha bisogno di questi nuovi arrivati perché sta andando incontro a una crisi demografica devastante; ma soprattutto perché ha urgente bisogno di abbandonare una cultura della competitività universale che rende ciascuno di noi nemico di tutti gli altri. Solo un vero incontro con le culture e con le sofferenze di chi cerca la propria salvezza da noi può aiutarci a intraprendere questa svolta.

 

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