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L'articolo in questione, proposta da Mario Sommella, è il seguente
Perché Varoufakis non è la soluzione ma parte del problema.
di Paolo Gerbaudo
Dopo aver incontrato Corbyn, il leader di Diem25 si appresta a vedere Sanders per lanciare un'internazionale progressista che si contrapponga ai populismi di destra. L'iniziativa, che a prima vista sembra condivisibile, è velleitaria, senza radici e controproducente. Impossibile riformare l'esistente su base cosmopolita, meglio la proposta di rottura con l'UE teorizzata da Melenchon.
di Paolo Gerbaudo
Una grande internazionale progressista, dagli Stati Uniti all’India, passando per la Gran Bretagna e l’Italia. Questa la proposta altisonante lanciata nelle ultime settimane dall’ex ministro delle finanze greco durante il governo Tsipras Yanis Varoufakis. Una proposta che vuole controbattere a quell’Internazionale Nazionalista che Steve Bannon, l’ideologo di Donald Trump, ha messo in moto negli ultimi mesi e che si potrebbe concretizzare alle elezioni europee con un trionfo dell’estrema destra: da Marine Le Pen, e Viktor Orban alla Lega di Matteo Salvini. Quella di Varoufakis è un’iniziativa che a prima vista sembra condivisibile, anche visti gli indubbi meriti del carismatico politico greco nel costruirsi una nicchia nel dibattito mediatico, e nello svelare i meccanismi perversi della governance europea in diversi suoi libri di successo. Tuttavia questa proposta è la manifestazione più lampante dei limiti di Varoufakis e della sua avventura politica: un vero e proprio condensato di quello che la sinistra non dovrebbe fare per rispondere all’avanzata dei Trump di tutto il mondo.
L’appello lanciato dalle pagine del quotidiano britannico di area liberal The Guardian e poi diffuso da varie testate internazionali, tra cui il manifesto in Italia, vuol inserirsi in una fase storica che sembra incupirsi giorno dopo giorno, con l’ondata del populismo di destra che sta trionfando in diversi paesi, per ultimo in Brasile, con l’elezione del neofascista Jair Bolsonaro, che promette minacciosamente di “fare pulizia” della sinistra e dei movimenti popolari. Contro questi macabri figuri che approfittano della crisi della globalizzazione per dare linfa ad una agenda smaccatamente reazionaria, l’idea di Varoufakis è chiara: prendere la direzione opposta e rivendicare un internazionalismo cosmopolita, che vada all’attacco della xenofobia e dello sciovinismo che sembrano dominare il discorso politico.
È pur vero che nel suo appello Varoufakis annovera tra i nemici non solo i “fascisti”, ma pure i “globalisti”. Usando quest’espressione, il fondatore del movimento Diem 25, per la democrazia in Europa, intende chiarire che non ci sono alleanze possibili con persone come Hillary Clinton e Tony Blair. Tuttavia il suo discorso in fine dei conti propone un altro tipo di globalismo. Un globalismo certo più votato a politiche socialdemocratiche, come espresso nei continui riferimenti al New Deal roosveltiano; ma comunque convinto che la soluzione ai problemi attuali vada ricercata a livello globale, attraverso una riforma dell’esistente. Perché secondo Varoufakis lo spazio globale, a partire dal livello europeo, per passare al livello intercontinentale è l’unico luogo in cui si possono cambiare veramente le regole e di conseguenza la politica. “L'unico modo in cui i molti possono riprendere il controllo delle nostre vite, delle nostre comunità, delle nostre città e dei nostri paesi è coordinando le nostre lotte lungo l'asse di un New Deal internazionalista.” Quello che si suggerisce dietro le righe è che bisogna riformare l’esistente, invece che farlo saltare e costruire qualcosa di completamente nuovo, come proposto ad esempio da Melenchon con il piano B che prevede l’opzione di un’uscita dai trattati dell’Unione Europea, qualora non si riesca a cambiarli in maniera progressista.
Sicuramente c’è del giusto nella proposta di Varoufakis. È vero che la collaborazione internazionale è importante: per fare circolare capacità politiche e idee; proprio come sta facendo Bannon sul lato opposto dell’agone politico. Ma anche per avere alleanze utili una volta che eventualmente si sia conquistato il potere e che tocchi fare i conti con interessi delle oligarchie che niente cambi veramente: proprio quegli interessi che si sono palesati in maniera plateale durante la crisi greca del 2015 di cui Varoufakis è stato l’eroe mediatico. Certo quell’“eventualmente” non è cosa da poco. Ed è proprio quello il punto su cui casca l’asino dell’impresa di Varoufakis.
In linea con tante delle sue iniziative promosse da Varoufakis negli ultimi anni, a partire dal movimento Diem25, questa internazionale sembrata marchiata a fuoco con l’atteggiamento velleitario della sinistra postmoderna e l’insistenza della classe creativa, quella che una volta si sarebbe chiamata la “classe media contemplativa” che è la sua base sociale, rispetto alla bontà della globalizzazione. Si tratta di una visione che gode di un certo sostegno presso ampie fasce dell’opinione pubblica internazionale di stampo progressista. Ma pure di una visione che fino ad oggi pare essere stata alquanto funzionale alla vittoria di Salvini e soci, capaci ad ogni buona occasione i loro avversari come radical chic o “champagne socialist”: un personale politico privilegiato e autoreferenziale, senza comprensione delle difficoltà vissute da una popolazione massacrata dalla crisi. E inviperita con le élite non solo economiche ma anche intellettuali e culturali che Varoufakis rappresenta.
La presenza mediatica che ha già costruito Varoufakis negli ultimi anni, come scrittore di successo, ospite televisivo e leader politico sicuramente gode di grande simpatia presso le persone di credo progressista e di attitudine liberal, che ammirano l’intelligenza e carisma del politico greco. Ma lo stesso non vale necessariamente per un pubblico che tende ad accogliere con freddezza e un po’ di fastidio chiunque venga percepito come portavoce delle elite globali. Pensiamo ad esempio all’effetto che sortisce sul telespettatore medio vedere Varoufakis che critica la finanziaria italiana su Rai News 24, dicendo che l’Italia “sta facendo il bimbo viziato” e dicendolo in lingua inglese, quindi ponendosi automaticamente come altro rispeto alla cultura del pubblico di riferimento. O ricordiamoci ancora come Varoufakis non è uscito troppo bene da scontri con politici di destra in Italia e altri paesi, come successo ad esempio nel duello televisivo con Matteo Salvini a diMartedì su La7 nel maggio 2017.
Problemi simili di mancanza di radicamento sociale che fa il paio con una percezione di distacco dalla realtà sono visibili pure nel movimento Diem guidato da Varoufakis. Diem si è contraddistinto per eventi patinati, con presentazioni in stile Ted Talk tenute in piccoli teatri alternativi dei grandi centri metropolitani, da Berlino, a Barcellona, da Amsterdam a Milano, e con i palchi affollati da eroi dell’intellighenzia radical come Slavoj Žižek, Brian Eno e Julian Assange in diretta Skype. Con questo parterre e scenario questo movimento si appella a un pubblico ben preciso la classe media creativa, giornalisti, ricercatori, designer, persone impegnate nel mondo dell’associazionismo e dello sviluppo internazionale, ma con scarso appeal oltre questi settori.
Insomma più che l’associazione internazionale dei lavoratori, come quella di Karl Marx, quella di Varoufakis sembra l‘internazionale della società dello spettacolo; un’internazionale alla disperata ricerca di riflettori e celebrities, ma incapace - anche a causa della sua insistenza che l’unico vero cambiamento può avvenire a livello europeo - di radicarsi a livello nazionale o locale in movimenti capaci di vincere le elezioni.
Tali contraddizioni si rivelano ulteriormente quando muoviamo lo sguardo alle alleanze e i grandi preparativi in vista delle elezioni europee. Se Varoufakis va in giro per il mondo a proporsi come il nuovo leader dell’internazionale progressista, un Karl Marx redivivo, senza barba e con la giacca di pelle da motociclista, in Europa si trova molto isolato e piuttosto malvisto. La sua ambizione con Diem 25 era costruire il “primo partito transnazionale” europeao. Ma è probabile che non riuscirà a presentarsi come partito indipendente in nessun paese. Fatta eccezione forse per la Grecia dove sta cercando di creare un movimento chiamato MeRA25, fino ad ora con una eco piuttosto limitata stando agli ultimi sondaggi.
Inoltre è in cattivi rapporti con molti altri movimenti di sinistra europei e in particolare il cosiddetto patto di Lisbona, l’alleanza siglata da Podemos di Pablo Iglesias, da France Insoumise di Jean-Luc Melenchon, e dal Bloco de Esquerda portoghese di Catarina Martins. Stiamo parlando di forze che hanno ottenuto tra il 10 e il 20% nelle ultime elezioni, mica bruscolini, che contano nel loro paese, in un solo paese da 3 a 8 volte i membri che Diem ha in 28 paesi europei, e che godono di una presenza parlamentare significativa.
Invece di cercare di trovare un’intesa con questa alleanza, lo scorso maggio Varoufakis, ha chiesto a queste forze che esse entrassero in discussione con l’alleanza alternativa che lui propone, chiamata Primavera Europea. Si tratta di un’alleanza che esiste solo sulla carta visto che fino ad oggi comprende il movimento Generations del socialista François Hamon, massacrato alle ultime presidenziali francesi, i polacci di Razem, e poco altro. Non c’è quindi da sorprendersi se Podemos, France Insoumise, e Bloco de Esquerda hanno risposto a Varoufakis dandogli forfait.
Questa situazione ha conseguenze dirette anche per la politica italiana, visto il protagonismo di Varoufakis negli ultimi mesi nel nostro paese e le sue frequenti apparizioni a eventi, dibattiti, e collegamenti negli studi televisivi. In Italia Diem si appresta a entrare nella nuova “lista unitaria” per le elezioni europee, la quale dovrebbe riunire vari pezzetti della sinistra reduce da un ciclo infinito di scissioni e ricomposizioni temporanee a cui seguono immancabilmente nuove scissioni. Questa lista dovrebbe comprendere movimento DemA di de Magistris, Sinistra Italia e Possibile che sono appena dileguate da Liberi e Uguali, Rifondazione Comunista, da poco uscita da Potere al Popolo, e l’Altra Europa con Tsipras, la cui presenza servirebbe fondamentalmente ad evitare di dover raccogliere firme.
C’è già chi chiama questo listone unitario “L’Altra Europa Un’Altra Volta”, viste le similarità con la lista capitanata simbolicamente da Alexis Tsipras che riuscí a malapena a superare la barriera del 4% nel 2014. Una somiglianza che rischia di essere resa più evidente dal protagonismo di Varoufakis, che va a sostituire Tsipras nella parte del principe straniero progressista venuto a salvare la sinistra italiana incapace di farcela da sola. Questo tipo di presentazione potrebbe avere effetti molto negativi per la nuova lista unitaria di sinistra. Dando tanto risalto al ruolo di Varoufakis si rischia di darsi la zappa sui piedi dal punto di vista comunicativo. Invece di neutralizzare Salvini e company, evitando di fornire appigli alla loro narrazione. Persone come Varoufakis costituiscono un perfetto bersaglio per la rappresentazione salviniana della sinistra come una “buonista”, cosmopolita e fighetta, priva di alcun contatto con la realtà.
Piuttosto che costruire le internazionali delle celebrità Twitter dell’attivismo e intellettualismo progressista sarebbe forse meglio pensare a radicarsi nella società, cominciando a costruire forze coerenti a livello nazionale, che vengano riconosciute dai cittadini come portatrici legittime delle loro istanze e che possano poi al momento al giusto di crescita allearsi con altre forze a livello internazionale. Ma facendo calare la cosa dall’alto come una trovata dell’intellighenzia della sinistra globalista si rischia di fare solamente torto a queste forze e alla loro legittimità di fronte agli occhi dei cittadini. Le internazionali, come quella dei lavoratori di Marx sono per definizione alleanze tra forze radicate su base nazionale. Quindi forse sarebbe meglio concentrarsi nel costruire queste forze, come è giá stato fatto in molti altri paesi in cui sono fioriti nuovi partiti dopo la crisi da Podemos in Spagna, a France Insoumise, al nuovo Labour di Corbyn. Solo quando queste forze saranno giunte a maturazione sarà il momento compiuto per cristallizzare un’alleanza a livello globale. Per il momento la battaglia per costruire una nuova sinistra post-crisi si deve fare soprattutto paese per paese. Perché volenti e nolenti lo spazio nazionale è ancora lo spazio principale delle identificazioni culturali, e dunque pure delle identità politiche.
(6 novembre 2018)
Questo articolo trasmesso da Mario mi costringe a intervenire, dato che mi considero sempre parte di Prima le persone, sia pure in "anno sabbatico". Considero troppo artificiosa e tragica questa ostilità e competizione tra Mélenchon e Varoufakis, tra i cosiddetti "rottamatori " dell'Europa e quelli che vorrebbero invece "riprendersela"; la considero come una delle maggiori disgrazie che ci stiamo creando con le nostre mani e un vicolo cieco in cui andremo a infognarci tanto per cambiare. Mi dispiace che adesso ci caschi anche Micromega, che però non è nuova alle cantonate (vedi precedenti infatuazioni per i 5 Stelle, e comportamento nevrotico di Flores D'Arcais dopo aver lanciato "L'Altra Europa con Tsipras" ).
Ricordo che Varoufakis e Mélenchon si piacevano e dialogavano dentro Plan B, e sarebbe vitale che continuassero a farlo, ma invece c'è stata una rottura quando Varoufakis ha appoggiato alle presidenziali francesi il candidato Hamon e Mélenchon non glielo ha perdonato.
Ma noi della base dovremmo impedire che le divergenze politiche tattiche - che esistono ma non sono insormontabili - vengano ingigantite ad arte creando un'insensata concorrenza e competizione (fomentata a dire il vero da Mélenchon), per la leadership politica dell'opposizione antiliberista in Europa.
DIEM 25 ha tutti i difetti e i limiti che vogliamo, ma chi conosce di prima mano i testi e i programmi di DIEM 25 - che purtroppo in Italia è rappresentato da un personaggio ambizioso e mediocre come Marsili, responsabile della piega radical chic e dello scarso radicamento sociale presa da DIEM in Italia - chi conosce questi testi, dicevo, sa bene che non sono affatto stupidi e sarebbe interessante prenderli in considerazione e discuterli, e sa altrettanto bene che la cosiddetta "riforma" dell'Unione europea che Varoufakis persegue richiede un tale cambiamento e una riscrittura dei trattati così radicale, da essere, assolutamente, una rottura rispetto all'Europa esistente.
Il dissenso è quindi esclusivamente di tattica, non strategico.
E noi non dobbiamo permettere che diventi incomunicabilità e pregiudizio reciproco, come sta succedendo.
Naturalmente una personalizzazione del movimento, polarizzato su un leader o l'altro, come quella ventilata qui, non è una soluzione, ma nessuno pensa in Italia a fare di Varoufakis, in una eventuale lista unitaria, un nuovo Tsipras (oltrettutto porterebbe male!)
Come non è una soluzione nemmeno un' ostracizzazione e caricatura di Varoufakis e di DIEM25 come qui viene proposta.
Come non lo è il sovranismo di sinistra e la lotta antieuropeista ciascuno nel proprio paese, che traspare esplicitamente in questo articolo di Paolo Gerbaudo, giovane sociologo animatore di "Senso comune", che qui si preoccupa tanto di scavare il terreno sotto i piedi a Varoufakis e di impedire che le sue idee internazionaliste - accusate di essere a modo loro "globaliste", facciano buona impressione su qualcuno di noi.
Quello che purtroppo questo articolo conferma, è che c'è stata, da parte di France Insoumise e alleati, una vera messa al bando del rivale:
"Invece di cercare di trovare un’intesa con questa alleanza, lo scorso maggio Varoufakis ha chiesto a queste forze che esse entrassero in discussione con l’alleanza alternativa che lui propone, chiamata Primavera Europea. Si tratta di un’alleanza che esiste solo sulla carta visto che fino ad oggi comprende il movimento Generations del socialista François Hamon, massacrato alle ultime presidenziali francesi, i polacchi di Razem, e poco altro. Non c’è quindi da sorprendersi se Podemos, France Insoumise, e Bloco de Esquerda hanno risposto a Varoufakis dandogli forfait. "
Gerbaudo quindi conferma che Varoufakis un'intesa invece l'aveva cercata, aveva appunto chiesto un dialogo col "Patto di Lisbona" sul programma di Primavera europea, e che i nostri l'hanno respinto e non se lo sono filato (su spinta di Mélenchon, su questo non ci piove). Ora, a mio avviso, questo atteggiamento di contrapposizione da parte nostra, in cui Podemos, France Insoumise e Bloco de Esquerda in pratica rispondono che ce l'hanno più lungo loro, è demenziale e suicida, e chi come Gerbaudo lo approva, è un irresponsabile.
Se Varoufakis non è la soluzione, ma è parte del problema, non è il solo. Lo è anche Mélenchon. Anzi lo siamo tutti, se continuiamo così, fratelli-coltelli. Sarebbe bene rendersene conto.
In futuro mi propongo di farvi pervenire, del materiale politico su Varoufakis, per semplice spirito di giustizia e a puro titolo informativo. Conosco infatti benissimo i limiti di DIEM25, ma non sopporto che si dia una versione caricaturale e faziosa del punto di vista di Varoufakis. Che sconta semplicemente il fatto di essere una persona molto intelligente e un vero marxista, ma di non avere - tanto meno qui in Italia - nessun canale che gli permettesse un radicamento sociale.
A maggior ragione penso che chi un radicamento sociale ce l'ha, avrebbe tutto l'interesse a dialogare e discutere con un intellettuale marxista internazionalista come Varoufakis, con vantaggio reciproco, invece di considerarlo un pericoloso rivale da battere a qualunque costo, fregandosene se di questa competizione insana si avvantaggiano le destre.
Inviato da Sauro ,Per conoscenza, la deputata di FI Clémentine Autin, che ha firmato l'appello è stata sottoposta ad un vero e proprio processo e minacciata di espulsione alla prossima disobbedienza.
Jean-Luc Mélenchon rifiuta di firmare un appello per l’accoglienza dei migranti. A sinistra lo rimproverano per il suo atteggiamento ambiguo
“Jean-Luc Mélenchon, l’uomo che ha detto no”, attacca il quotidiano francese Liberation in un pezzo intitolato “Immigrazione, frattura a sinistra”. Alcuni mesi prima delle elezioni europee, il leader di La France Insoumise si rifiuta di porre l’immigrazione al centro del dibattito. Un “tranello”, a suo dire, escogitato da Emmanuel Macron e Marine Le Pen, una strategia messa in atto per replicare il secondo turno delle elezioni presidenziali. Fuori questione per il “tribuno”, come viene chiamato. “Cerca di mettere altri temi in prima linea. Cerca di scappare. Tranne che la domanda occupa (anche) gli spiriti a sinistra. L’immigrazione ritorna sul palco come un boomerang”, si legge nell’articolo di Rachid Laïreche.
Ultimo episodio: un manifesto scritto dalle redazioni di Mediapart, Politis e Regards, “Per l’accoglienza dei migranti”. Più di 150 personaggi (artisti, attivisti, politici …) hanno firmato. Non Jean-Luc Mélenchon e i suoi. Col gesto della mano ha rifiutato la proposta. Domenica scorsa, su France 3, il leader di LFI ha ritenuto che ci fosse nell’appello un “non so che di mondano”, che si trattasse di un “drappo rosso che eccita l’estrema destra”. Un firmatario: “Le sue parole sono tristi. È assurdo che non firmi questa chiamata, è controproducente per lui e per la sinistra. Ha un’ambiguità quando dovrebbe essere uno dei portabandiera».
Tra i firmatari figurano Olivier Besancenot (NPA), Yannick Jadot (EE-LV), Ian Brossat (PCF), Christiane Taubira e Benoît Hamon. Il rapporto tra Jean-Luc Mélenchon e il fondatore del movimento Génération.s,Hamon, varia a seconda delle stagioni. Negli ultimi tempi, è ghiacciato. Contattato da Libé, Benoît Hamon risponde: «Jean-Luc vede nell’iniziativa qualcosa contro di lui, mentre è un grido collettivo contro il razzismo, la xenofobia. Invece di fare blocco con noi per costruire un baluardo, perché questo argomento ci deve trovare d’accordo, diventa un ostacolo all’unità. L’ex socialista guarda più lontano. «Oggi è la caccia ai migranti, dopo saranno gli stranieri [già insediati regolarmente in Francia, ndr] e non sappiamo quanto lontano si possa andare», aggiunge.
La France Insoumise è irritata. Le teste pensanti del movimento non sopportano le critiche. Le vedono come un piano per indebolirli. Manuel Bompard, futuro testa di lista alle europee, ha scritto sul suo blog per giustificare la sua scelta di non firmare il manifesto. Si rifiuta di «considerare che l’aumento delle migrazioni, nonostante i vincoli, sia inevitabile». Manuel Bompard è sorpreso nel vedere “certi” politici dare “brevetti di sinistra” e di “attitudine rivoluzionaria”. A microfoni spenti, un deputato Lfi è preoccupato per l’escalation polemica. Secondo lui, “rischiano” di “prendere in ostaggio” gli elettori “del nostro spazio politico”. “Di chi è la colpa? – si chiede l’articolista – tutti spediscono la palla fuori dal campo”.
Questa non è la prima volta che LFI e il resto della sinistra rompono proprio sull’immigrazione. A luglio 2016, già, grande clamore, quando Jean-Luc Mélenchon parlò del lavoratore straniero che “ruba il pane” ai lavoratori “residenti”. Qualche settimana fa a Marsiglia, il tribuno si è ritrovato al centro delle discussioni dopo aver detto: «Sì, ci sono ondate migratorie, sì, possono porre molti problemi alle società ospitanti quando alcuni colgono l’occasione per abbassare i salari in Germania. Diciamo vergogna a coloro che organizzano l’immigrazione attraverso accordi di libero scambio e poi la usano per fare pressioni sui salariati».
MELANCHON E LE MIGRAZIONI
Caro Sauro ,
intanto rimpiango veramente che SA sia uscita da Potere al Popolo, perché il suo oggetto sociale e la sua organizzazione non sono molto differenti da quelle dello Statuto 1 assunto da Potere al Popolo. Forse avete deciso un pò troppo presto e comunque non conosco le ragioni vere e puntuali che vi hanno portato a prendere questa decisione. Mi piace assai la vostra visione eco-socialista che anche se un pò protesa verso un eco-ecocomunismo è la sola voce italiana su questa importante via al ridimensionamento del capitalismo che fuori Italia stá crescendo e sulla cui La France Insoumise si è incamminata con successo anche elettorale.
Venendo alla questione della France Insoumise e le migrazioni ,mi pare necessario analizzare in profondità la situazione socio politica in Francia ( dove abito dal 1975) per quadrare meglio la posizione di Melanchon e del grosso delle sue truppe.
Una delle forze della France Insoumise è di possedere le risorse umane e l'attitudine ad utilizzare costantemente l'analisi sociologica e socio-politica per prendere le sue posizioni in ogni campo , e questo vale anche per le migrazioni.
L'articolo di Liberation che hai citato conclude che :l'attitudine di Melanchon e di FI é:
"Pas suffisant pour les responsables politiques signataires du manifeste Pour l’accueil des migrants. Ils estiment que Mélenchon reste trop en «retrait», qu’il «évite le combat», «minimise le sujet pour ne pas perdre les classes populaires qui s’opposent à la venue des migrants». Comprendre : une stratégie politique pour élargir sa base"
Traduco " (L'attitudine di Melanchon e della Fi in merito alle migrazioni) non è sufficiente per i signatari del Manifesto ( dei 150) #Per l'accoglienza dei migranti#. Essi stimano che Melanchon resta troppo " in riserva" ,che egli evita il combattimento, che minimizza il soggetto per non perdere le classi popolari che s'oppongono alla venuta dei migranti. Capire : una strategia politica per allargare la sua base ( elettorale) ".
Allora è sano guardarci in faccia realisticamente nella strategia di un uomo/ partito ( logico binomio in una repubblica presidenziale) che è arrivato terzo alle elezioni presidenziali sfiorando il secondo posto che lo avrebbe confrontato a Macron in uno sensazionale secondo turno delle elezioni presidenziali del 2017 e che è all'attacco per fare meglio in futuro a cominciare dalle europee ( nessuno comunque può garantire un suo successo ).
L'argomento "invasione dei migranti" è il primo argomento di battaglia tra Marine le Pen e Macron , quindi Melanchon preferisce non entrare in questo argomento purtroppo trattato puramente ideologicamente dai due principali contendenti e farlo pure in una scomoda terza posizione elettoralistica che ritiene elettoralisticamente comunque assai delicata . Preferisce trattandosi di elezioni europee ,il prossimo frangente, di concentrarsi su un argomento principale e pertinente " EU ed euro. Mi pare quindi abbastanza coerente per un politico abbastanza vicino oramai ad una possibile " governance " che piaccia o no implica realismo a chiunque vi si avvicini ( vedi l'amico Tsipras) .
In una strategia sempre realistica, Melanchon sa che La le Pen imperversa in veritá sopratutto dove vi sono molti disoccupati che non credono più di uscirne votando a sinistra ( idem per gli operai disoccupati che hanno fatto vincere Trump).
Melanchon conosce le statistiche della regolarizzazione degli stranieri in Francia :
- 205.707 nel 2002
-207.569 nel 2005
-200.807 nel 2010
-228.087 nel 2015
In quindici anni le migrazioni validate non sono esplose in Francia al punto da giustificare la marea montante dei voti alla Le Pen degli ultimi dieci anni : é speculazione politica pura e dura ,quella che stá emulando Salvini da cinque anni con grande successo.
In questo senso la regolazione delle migrazioni ha funzionato in modo lineare sotto Sarkozy e sotto Hollande .
La rabbia, la paura ,il rigetto sono la creazione di chi ha deciso di gettare ogni pudore per arrivare al potere lavorando la gente alle trippe non nel cervello.
Melanchon non vuole entrare in questo gioco anche perché il competitor di prima linea contro la Le Pen é Macron , nemico acerrimo di un criticissimo Melanchon ,che non farà nulla che possa sostenerlo.
E' un gioco pericoloso e spietato , ma è la guerra del potere ,spietata e dove ogni colpo basso é oramai utilizzato ( vedi Trump con fiumi di fake e i russi in supporto e poi Bolsonaro che ha vinto ottenendo che Lula resti in prigione almeno fino alle elezioni).
Il problema della Francia , e Melanchon lo sa perfettamente ,è che l'ostracismo degli stranieri è un lama di fondo culturale messa validamente in sordina dal gollismo all'uscita nel 62 dalla terribile guerra d'Algeria, come si è messo in sordina il fascismo in europa alla fine di una guerra orribile e di un ventennio di dittature.La lunga crescita economica delle trenta gloriose, ed i bisogni di manodopera straniera hanno favorito questa " pace sociale".
Da una trentina d'anni anche in Francia le delocalizzazioni hanno stoppato il bisogno copioso della manodopera industriale e la disoccupazione si è istallata stabilmente sopra al 10%. Il terreno è diventato favorevole a chi in politica non li vuole e conosciamo il seguito.Tutti i partiti hanno spinto un pò il cursore a destra in materia per non perdere troppo piede.
Tuttavia un'analisi del rapporto emigranti abitanti e voti per la Le Pen fatto sulle città più distanti in classifica rivela che non é il numeri di stranieri incrociati al quotidiano che incide ma al limite il tasso di disoccupazione al nord del paese o una mentalitá xenofoba pura e dura al sud.
Esempi :
La Le Pen perdente malgrado il tasso enorme di stranieri:
-LA COURNEUVE 41.737 abitanti , stranieri 44,1% ,tasso di disoccupazione 10,7% ,voti alla Le Pen 18% ( secondo turno presidenziali 2017)
-AUBERVILLIERS abitanti 83.782 ,stranieri 42,8% ,tasso di disoccupazione 8,4% ,voti alla Le Pen 18,6%.
-SAINT DENIS abitanti 111.103 ,stranieri 38,4% ,tasso di disoccupazione 10,7 , voti alla Le Pen 16%.
La Le Pen vincente, con pochi stranieri ma alta disoccupazione:
-HENIN BEAUMONT ( circoscrizione elettorale della Le Pen)
abitanti 26.493 , stranieri 3,6% , disoccupazione 15,5%
voti alla Le Pen 61,6%.
-LES PENNES MIRABEAU Abitanti 21387, stranieri 3,6% ,tasso di disoccupazione 12,1% ,voti alla Le Pen 56,3%
-ISTRES abitanti 43.086 , stranieri 7,3% ,tasso di disoccupazione 10,9% , voti alla Le Pen 51%
-FREJUS abitanti 52.953, stranieri 11,9%, tasso di disoccupazione 12,4 %, voti alla Le PEN 50,7%
-DRAGUIGNAN abitanti 40.278, stranieri 8,3% ,disoccupazione 11,9% , voti alla Le Pen 50,5%.
- MANDELIEU LA NAPOULE abitanti 22.696 , stranieri 8,3% ,disoccupazione 10,3% ,voti alla LePen 50%
- BEZIERS abitanti 76225 , stranieri 13,5 % ,tasdo di disoccupazione 14,5% , voti alla Le Pen 47%
- SAINT RAPHAEL abitanti 34.567 , stranieri 8,1% , tasso di disoccupazione 12,4% , viti alla Le Pen 46%.
-BOULOGNE SUR MER abitanti 164.309, stranieri 3,7% ,tasso di disoccupazione 13,5% , voti alla Le Pen 45%.
LA LEPEN molto votata nonostante un tasso di stranieri basso e una disoccupazione nella media nazionale o bassa:
-CAGNES SUR MER abitanti 49.322 , stranieri 10% , disoccupazione 10,3% , voti alla Le Pen 48%
- TOULON abitanti 167.479 , stranieri 8,3% ,tasso di disoccupazione 10,3% , voti alla Le Pen 44%
- NICE abitanti 342.522, stranieri 18% ( ma confinati in due grandi quartieri periferici) ,tasso di disoccupazione 10,3% , voti alla LE PEN 39,9 %.
Dibattiamone perché le apparenze non sono forzatamente la realtà socio politica .
Abrazo compañero
Piero Muò
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