Finanziamenti e industria farmaceutica

La pandemia da SARS CoV2, il rapido sviluppo di decine di vaccini, le tantissime discussioni sui media, hanno portato all’attenzione di molti la scienza e la ricerca biomediche, tra chi difende a spada tratta l’attuale sistema e chi lo condanna senza appello. Vorrei allora offrire qua un punto di vista interno, da ricercatrice biomedica di lungo corso, quale sono, impegnata in una struttura pubblica.

Si può constatare che l’industria farmaceutica ha preso diversi miliardi di fondi statali per sviluppare vaccini, su cui ha posto un brevetto e che ora rivende, certamente  con grande profitto visti i numeri.

Non è certo una novità, anche se forse le dimensioni non sono mai state di questa portata. Le industrie farmaceutiche possono usufruire di fondi pubblici anche in maniera indiretta, sono infatti comuni i bandi per il finanziamento della ricerca  che favoriscono la partnership tra industria e laboratori pubblici (es. bandi ministeriali). La cosa funziona così, se io ho indicazioni che una sostanza potrebbe funzionare per curare una malattia, so che ho più possibilità di ottenere finanziamenti per la mia ricerca se riesco ad interessare un’industria farmaceutica che, a fronte di un investimento non elevatissimo, sfrutta così l’idea e le infrastrutture di ricerca pubbliche per avere la possibilità di fare un brevetto. Spesso poi i bandi per la ricerca biomedica, contengono criteri tipo “trasferibilità” e/o “brevettabilità” della ricerca, e se ho già collaborato allo sviluppo di brevetti…un punto a mio favore. Si innesca così un meccanismo perverso che rende difficoltoso reperire fondi per la ricerca di base (quella esplorativa, solitamente la più innovativa) e, di conseguenza, anche la possibilità di trasferire i risultati. Alla fine, sono le industrie stesse che finanziano la loro ricerca di base (quella che interessa, ovvio) facendo schizzare verso l’alto i costi dei farmaci. Per questo servono i brevetti, anche per l’uso in una determinata malattia.

Tutto questo per semplificare ma il punto è che è il sistema di finanziamento ad essere tutto spostato verso il profitto, dimenticando la parte fondamentale della ricerca di base, senza la quale nessun nuovo sviluppo è possibile.

Genio e innovazione, sono ancora possibili?

Secondo Dominique Depagne ( Le retour des zappeurs) non sono i ricercatori che scarseggiano ma i trovatori geniali!! Alla Pasteur, alla Einstein, quelli che la scuola lascia per strada perché troppo diversi dalla norma o che essi abbandonano perché la normalitá scolastica  li spegne. Avanzano i secchioni bravi ad ottenere diplomi e concorsi ma poi poco creativi quando sono ” sistemati”. Ecco perché cosí tanti politici, scientifici…ci sembrano insipidi…..perché lo sono.(Piero Muo)

Non è solo quello. Sicuramente la ricerca che si muove contro la corrente del pensiero unico fa fatica a farsi strada, ma prima o poi, se le tesi sono corrette, riesce ad emergere, il problema è che la capacità inventiva, la genialità, l’intuito, stanno soccombendo vinte dall’omologazione, dalla necessità di trovare finanziamenti (sempre più orientati verso ciò che è applicabile – vedi sopra), dal fatto che la genialità è alimentata anche dall’arte di arrangiarsi, tipica capacità italica ora elegantemente chiamata “problem solving”.

Su quest’ultimo punto mi soffermo perchè, avendo a che fare con studenti da circa 30 anni, ho assistito al lento degrado culturale di cui sono stati vittima ed alle enormi carenze nella capacità di produrre testi scritti, di ragionare in maniera originale, di risolvere i problemi trovando vie innovative per superare gli ostacoli.

Quando lavoravo negli USA (appunto 30 anni fa) impiegavo almeno 2 settimane per ottenere la sequenza di 200 basi di DNA e, per ottenerla dovevo fare complesse reazioni chimiche, usare sostanze radioattive, fare dei gel lunghissimi e molto fragili, saper sviluppare lastre fotografiche e saper leggere delle lunghe fila di righette. Questo comportava un certo numero di conoscenze e di abilità tecniche, e se sbagliavo erano settimane di lavoro perse. In laboratorio ho fatto di tutto, dal lavare le provette al fare le soluzioni, dalle reazioni chimiche al progettare e riparare strumenti, dall’idear progetti al metterli in pratica ecc..

Oggi, per sequenziare 200 basi di DNA si apre una scatola, si aggiunge il DNA (isolato usando un’altra scatola) e in 30 min la sequenza è leggibile dallo schermo di un computer. Non c’è neanche bisogno di sapere come funziona, e se qualcosa non va si cambia scatola.
Tutto questo, da una parte velocizza le scoperte (i vaccini sviluppati in pochi mesi sono il prodotto di questa tecnologia) ed espone i ricercatori a meno sostanze pericolose, dall’altra però non esercita la nostra capacità di ragionare e di trovare soluzioni innovative, portandoci sempre più verso l’omologazione.

Effettivamente geni come Leonardo da Vinci non potrebbero più nascere nel nostro mondo.

Che sia chiaro, non sto dicendo che sia tutto negativo, la tecnologia aiuta in molte cose, la nostra vita è migliorata tantissimo, il nostro livello di conoscenza delle malattie e la capacità di sviluppare terapie è aumentato esponenzialmente…… Tuttavia un fenomeno del tutto normale, come una pandemia da un virus che ha fatto il salto ci specie, ci ha trovati del tutto impreprati e credo che questo dovrebbe farci riflettere.

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