Che cos’è la conversione ecologica? Appunti per una discussione in seno alla coalizione sociale.

di Guido Viale

Che cos’è la conversione ecologica?

(appunti per una discussione in seno alla coalizione sociale. Si dà per scontato il nesso tra combustibili fossili e cambiamenti climatici, la sua conoscenza e la consapevolezza della dimensione, della gravità e dell’urgenza del problema )

  1. La conversione ecologica è un processo di transizione verso un nuovo assetto economico e sociale sganciato dalle fonti fossili di energia, irrinunciabile, che riguarda tutti i paesi del mondo. Prima o dopo verrà messa all’ordine del giorno ovunque, sotto la pressione di cambiamenti climatici sempre più devastanti. Ma prima la si intraprende, anche in forme parziali e in “ordine sparso”, meglio è: soprattutto, ma non solo, per i paesi, i territori e le comunità che imboccano per primi questa strada, perché più la si procrastina, maggiori saranno i costi economici e sociali per realizzarla. In questo campo non esistono vantaggi per i free riders. I costi evitati oggi si ripresenteranno moltiplicati domani.

  2. La conversione ecologica è innanzitutto un programma di riconversione di tutto – o quasi – l’apparato produttivo: quindi di primario e diretto interesse per chi è impegnato direttamente nella produzione: in particolare, come vedremo, ma non solo, nel settore meccanico.

  3. Ma la transizione non riguarda solo la produzione. Coinvolge necessariamente anche i consumi, gli stili di vita, l’organizzazione e il funzionamento dei mercati, la gestione del territorio, i rapporti con le istituzioni, la riconfigurazione delle relazioni personali, la partecipazione ai processi decisionali: cioè la democrazia. Tutti questi aspetti sono strettamente interconnessi.

  4. Alle organizzazioni fondate sulla partecipazione (sindacati, iniziative civiche, comitati di lotta, associazioni professionali, politiche, culturali, ma anche sportive o dopolavoristiche, comunità religiose) spetta il compito di promuovere un generale orientamento alla sostenibilità che abbia il suo fulcro nella conversione ecologica e nella sua articolazione in programmi e progetti a livello sia locale che generale.

  5. Alle istituzioni di governo del territorio (Comuni, associazioni di Comuni, strutture del decentramento urbano e poi, ovviamente, Regioni, Governo nazionale e governance europea) spetta il compito di promuovere e sostenere una domanda solvibile per le produzioni riconvertite alla sostenibilità, sia direttamente, con la spesa pubblica, sia indirettamente, con l’incentivazione, la penalizzazione e il governo della spesa privata.

  6. Alle imprese produttive spetta il compito di riconvertirsi e attrezzarsi per mettersi in grado di soddisfare quella domanda con adeguati investimenti sia fisici che in risorse umane.

  7. Alle attività di ricerca e sviluppo, ai centri di formazione, alle scuole e alle Università, alle strutture di progettazione spetta il compito di sostenere la conversione ecologica sia dal lato della domanda, contribuendo a una sua riqualificazione orientata alla sostenibilità e a una definizione sempre più precisa dei programmi e dei progetti in cui si deve sostanziare, a partire dalle caratteristiche specifiche di ogni territorio, sia dal lato dell’offerta, contribuendo alla riconversione delle corrispondenti attività produttive.

  8. Il finanziamento dei piani o dei progetti di riconversione richiedono un impegno diretto della finanza pubblica, soprattutto a livello locale, incompatibile con il rispetto dei vincoli imposti dai patti di stabilità sia interno che estero; ma anche un coinvolgimento del sistema bancario a livello quanto più articolato possibile.

  9. In tutti i casi la conversione ecologica comporta l’attivazione di processi e interventi a elevata intensità di lavoro sia altamente qualificato che a tutti i livelli di complessità e di specializzazione (ma richiedono anche investimenti non indifferenti).

  10. I settori prioritari della riconversione sono quello energetico (fonti rinnovabili ed efficienza energetica); quello delle costruzioni (efficientamento e messa a norma degli edifici, salvaguardia degli assetti idrogeologici); quello agroalimentare (agricoltura di prossimità, biologica, multicolturale e multifunzionale); la gestione della mobilità (trasporto di passeggeri e merci multimodale, flessibile, fondato sulla condivisione dei veicoli); il riuso e il riciclo degli scarti della produzione e del consumo (le miniere del futuro); la gestione smart del territorio; l’informazione e la comunicazione (sia hardware: reti, terminali e spazi fisici, che software: media); la ricerca, l’istruzione, la cultura,. La conversione energetica, l’impiantistica in campo edilizio, la mobilità, l’ITC e la gestione delle risorse interessano direttamente il settore metalmeccanico.

  11. I servizi pubblici, soprattutto quelli locali, ma non solo, sono il medium fondamentale per governare e promuovere una domanda sostenibile (e quindi per orientare in tal senso sia la spesa pubblica che quella privata) in campo energetico, in quello della mobilità, nella gestione dei rifiuti e del servizio idrico integrato, nella sanità, in campo alimentare (con la gestione delle mense pubbliche e dei mercati ortofrutticoli) e, quindi anche in campo agricolo, ecc. Per questo è assolutamente necessario che restino o ritornino in mano pubblica.

  12. Affrontare la transizione verso la sostenibilità richiede un disegno generale condiviso (e quindi una grande opera di autoeducazione); uno o più piani generali di investimento finalizzati a creare lavoro aggiuntivo; una loro articolazione locale attraverso progetti puntuali che devono essere sviluppati con il consenso e la partecipazione diretta della cittadinanza attiva).

  13. La conversione produttiva e la salvaguardia e la qualificazione dell’occupazione nelle aziende o nei territori da riconvertire non possono essere affidate alle “forze di mercato”: devono venir sviluppate e realizzate all’interno di precisi vincoli di cui devono farsi garanti le istituzioni del governo locale e le organizzazioni fondate sulla partecipazione. Il principale vincolo è la garanzia di poter conservare il proprio lavoro o di poter comunque contare su un reddito fino a che non se ne è trovato uno, sviluppando al massimo la possibilità di una libera scelta con l’istituzione di un reddito minimo garantito.

  14. Le aziende in crisi e quelle in procinto di essere abbandonate dalla proprietà non possono essere affidate a un nuovo padrone. Se con la precedente gestione mancavano le condizioni per renderle profittevoli nel contesto operativo dato, queste mancheranno anche sotto un diverso assetto proprietario.

  15. Occorre quindi mettere a punto ipotesi e modelli di nuove forme di governance delle aziende dove il management non imbocca autonomamente la strada della conversione ecologica. Modelli fondati sulla partecipazione, ma che non scarichino la responsabilità delle scelte solo sulle maestranze coinvolte. Per questo la governance di queste aziende deve vedere il concorso dei sindacati (e delle rsu), dell’associazionismo e degli Enti Locali del territorio di riferimento, delle Università e dei centri di ricerca.

  16. Questa soluzione può essere e va sperimentata fin da ora nella messa a punto di progetti di riconversione delle principali aziende o di alcuni territori in crisi e costituire la base di una piattaforma rivendicativa per dei contratti d’area o di impresa.

  17. Soluzioni del genere non fanno venir meno, ma anzi richiedono un di più di spirito imprenditoriale, coltivato e sviluppato non in forme autoritarie e monocratiche, ma dando il più ampio spazio possibile alla condivisione e alla corresponsabilizzazione. Le rsu, il terzo settore, l’associazionismo e il mondo giovanile sono pieni di persone in grado di assumere ruoli di responsabilità con spirito creativo e partecipativo. Si tratta di individuarle e di coltivarne le potenzialità. La coalizione sociale deve servire anche a questo.

 

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